Paradigma della mediocrità del pensiero politico e strategico del capitalismo italiano.

Sergio Pizzolante

Una volta La Stampa di Torino era il giornale degli Agnelli, quelli con la A maiuscola, intendo. Una volta.
Adesso è il giornale dei nipotini degli Agnelli.
Una volta era la parola dell’industria italiana.
Era il pensiero del capitalismo italiano.
Roba tosta, non so quanto seria, ma tosta.
Era la parola del comando.
Era la parola del potere. Quello vero.
Potere sull’industria, sulle banche, sulla politica.
Gli Agnelli erano più potenti nel mondo di molti presidenti del consiglio italiani.
Kissinger quando chiamava in Europa rispondeva Agnelli.

Adesso? Adesso i nipotini di Agnelli hanno dato il giornale a tal Giannini, un Travaglio pettinato alla Davigo.
La differenza con allora?
Semplice.
Allora il giornale era la voce degli Agnelli verso il potere politico.
Era un confronto alla pari diciamo.
Adesso è la vocina dei nipotini al servizio del potere giudiziario.
La vocina, anche, di una intellettualità torinese polverosa e tronfia, alla Zagrebelsky, che si innamorò di Grillo e dell’Appendino.
Una intellettualità “antifascista”, principale serbatoio morale( immorale) del fascismo giustizialista che trionfa in Italia da 30 anni.

Adesso La Stampa tifa per Schlein e Conte.
Elly, Ella, Giuseppi, Chiara, Lapo e Jaki.
Il nuovo pensiero del giornale che fu del capitalismo italiano.

La Stampa non è solo simbolo della conquista della mediocrità della più grande famiglia industriale italiana.
No, è paradigma.
È paradigma della mediocrità politica dell’Industria italiana.
Che fa ancora affari, spesso bene, ma non ha più un pensiero pubblico, senza il quale è difficile far meglio.

Prendete Confindustria. Cosa conta Confindustria in Italia oggi? Niente.
Lo dico anche da iscritto a Confindustria e da neo industriale diciamo ( mi vien da ridere ma è così…).
Niente.
Sui temi dell’edilizia si è fatta cambiare 5 volte le norme in un anno senza fiatare.
Sul terreno fiscale, della giungla fiscale, si è fatta imporre l’inversione dell’onere della prova.
Dobbiamo noi dimostrare allo Stato di essere onesti. Non il contrario.
Sul Job Act stavano con la Cgil e non con noi( lo dico per competenza diretta).
Si è fatta imporre tutti i reati generici e tutti i sistemi di controllo e tutte le procedure e tutte le burocrazie che impediscono agli imprenditori di fare gli imprenditori se privi di impulsi eroici.

Hanno accettato l’idea che l’impresa è speculazione e inganno.
Che il Capitalismo è male in se.
E quindi deve essere messo sotto controllo( asfissiante!) dello Stato: Procure, polizie, Asl, Inps, Inail, Gdf, Agenzia delle Entrate, Enac….ect.
Spesso tutte insieme, nello stesso tempo.

È l’impresa, Confindustria in primo luogo e le altre associazioni di categoria pure, che accetta, accettano, la prevalenza dello Stato non come economia di Stato, ma come controllo, con pregiudizio, sull’economia dello Stato.
Dello Stato non eletto.
Dello stato delle burocrazie e delle magistrature.

Ecco Giannini alla Stampa, La Stampa stessa simboleggiano tutto questo.
La mediocrità del pensiero politico del potere economico. Del Capitalismo che fu.

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