Gestione del potere e nomine. L’occasione mancata di una verifica politica ridotta a semplice rimpasto

Risiko. Manuale Cencelli. Lo si chiami come si vuole. Ma la fine del lungo (e noioso) rimpasto al Comune di Foggia consegna semplicemente l’esercizio della tattica per la divisione degli incarichi e delle poltrone. Nessun confronto sui problemi della città, nessuna elaborazione di strategie diverse dalle precedenti. Tutto si è consumato con il pallottoliere alla mano. Dividendo ciò che si poteva dividere per fare in modo che in Aula la maggioranza non andasse in affanno. Su questo terreno l’obiettivo, almeno per il momento, sembra essere stato centrato. I consiglieri che più scalpitavano sono stati accontentati, le postazioni a disposizione sono state distribuite. Ed il “Landella bis”, forse, comincia senza troppe preoccupazioni in Consiglio comunale.
Il centrodestra a trazione leghista
Appare dunque lampante che non c’è stata alcuna “verifica” in senso propriamente politico. I rapporti di forza tra i partiti della maggioranza non sono cambiati. Chi denunciava un eccessivo potere nelle mani della Lega si ritrova, per paradosso, un Carroccio ancora più forte, sebbene il suo peso consiliare potrebbe di qui a breve diminuire fino a farne uno dei gruppi consiliari più piccoli, ridotto a due soli consiglieri (Consalvo Di Pasqua e Dario Iacovangelo) se lo strappo di Salvatore De Martino e Concetta Soragnese dovesse consumarsi. Sui nove assessori della Giunta la Lega ne esprime, direttamente o indirettamente, addirittura sei. A cui si aggiunge l’importantissima delega ai Lavori Pubblici, che il sindaco continua a non voler assegnare a nessuno, mantenendola per sé. Franco Landella ed il vicesegretario regionale leghista Raimondo Ursitti hanno stretto tutti nell’angolo – con un asse che appare solidissimo – dopo il cambio di casacca che ha portato il primo cittadino alla corte di Matteo Salvini. Fratelli d’Italia, il partito più in salute dell’alleanza che in Aula conta ben cinque consiglieri, si è accontentato di due assessori e qualche nomina di sottogoverno. Neppure il vicesindaco è stato riconosciuto agli uomini di Giorgia Meloni. Gli eredi della Fiamma Tricolore con ogni evidenza non hanno avuto né la forza né il coraggio di mettere in discussione l’egemonia leghista a Palazzo di Città, le cui chiavi, come disse in modo maldestro il primo cittadino quando davanti a microfoni e telecamere spiegò che avrebbe aderito alla Lega come reazione alla mancata candidatura di sua cognata Michaela Di Donna alle elezioni regionali nella lista del partito di Silvio Berlusconi, sono adesso ben strette nelle mani dell’ex Ministro dell’Interno. Forza Italia ha ottenuto soltanto un riconoscimento quasi simbolico, con un assessorato di scarso peso (quello alla Sicurezza e alla Legalità) che ha permesso però di salvare la dignità politica degli azzurri, evitando di essere estromessi completamente dall’esecutivo. 
L’assenza delle idee
Tanto rumore per nulla, scrivemmo in uno dei primi pezzi dedicati al “minirimpasto”. Oggi l’esito della vicenda conferma che avevamo ragione. Oltre al respiro politico anche quello programmatico è stato totalmente assente da una riflessione ridotta, come si diceva, ad un gioco di numeri, nomine e decreti. Insomma, la gestione del potere intesa come principale ed unico ambito del confronto. Mentre questo aspetto avrebbe dovuto essere subordinato ad una riflessione più attenta, profonda e analitica, fatta di idee, progetti e soluzioni per i tanti ambiti della vita amministrativa in cui le cose non funzionano o funzionano male: dai trasporti alla raccolta dei rifiuti, dalla manutenzione della città alle politiche sociali (soprattutto in tempi drammatici come quelli della pandemia), solo per fare alcuni esempi. “Chi fa cosa”, invece, è stata la partenza e non la fine del dibattito nel centrodestra.
La sfida del governo
Il primo tempo della partita è chiuso. Ora parte il secondo, quello più rilevante. I partiti dell’alleanza di governo, vecchi e (pochi) nuovi assessori sono chiamati ad amministrare, ad occuparsi dei tanti dossier aperti, a dimostrare che la verifica annunciata dal sindaco circa tre mesi fa non era esclusivamente il momento in cui posizionare nomi e caselle per il presente ed il futuro personale di coloro i quali siedono a Palazzo di Città. La sfida dei numeri, salvo bruschi scossoni durante la navigazione, è terminata. Quella per fare di Foggia una città migliore è iniziata. Ed in questa sfida servono capacità, visione e competenze. Il risiko ed il manuale Cencelli non bastano.

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