Sindacati in silenzio: il fallimento referendario segna la resa dei conti per Tutti i sindacati

di [Cesare Bifaro]

Oggi si è consumato un silenzio assordante. Tutti i principali sindacalisti italiani, sia nella capitale che nei rispettivi territori di residenza, si sono letteralmente eclissati: nessuna intervista, nessuna dichiarazione, nessuna apparizione pubblica. Un’assenza che non è passata inosservata e che, anzi, ha amplificato il senso di imbarazzo e smarrimento attorno a un mondo sindacale sempre più distante dalla realtà dei lavoratori.

La giornata odierna potrebbe essere ricordata come uno spartiacque per il sindacalismo italiano. Il flop clamoroso della tornata referendaria, con numeri impietosi in termini di affluenza, ha certificato la disconnessione totale tra i vertici dei sindacati e la base che dovrebbero rappresentare. In particolare, la sconfitta è pesantissima per la Cgil e per il suo leader, Maurizio Landini, ormai considerato da molti un generale senza esercito.

Il fallimento non è solo numerico, ma politico e simbolico. La “crociata” lanciata in difesa dei diritti dei lavoratori, che avrebbe dovuto risvegliare la coscienza collettiva, si è scontrata con una realtà fatta di stipendi bassi, precarietà diffusa e, soprattutto, sfiducia. Gli slogan si sono rivelati vuoti, le promesse scollegate dal vissuto quotidiano di chi lavora davvero.

La sensazione diffusa è che il sindacato abbia smarrito la propria funzione originaria, trasformandosi in un apparato autoreferenziale più attento alla visibilità politica dei suoi dirigenti che ai reali problemi del mondo del lavoro. E ora, dopo una campagna elettorale giocata tutta sull’immagine di Landini, arriva l’ora della verità. La scarsa affluenza non può più essere derubricata a “problema di informazione”, come pure si è cercato di fare. I lavoratori hanno parlato — o meglio, non si sono presentati — e il messaggio è stato chiarissimo.

Per Maurizio Landini, già leader della Fiom, si profila una resa dei conti interna. Un sindacato in crisi, appesantito da strutture rigide e incapace di leggere i mutamenti del mercato del lavoro, potrebbe ora pretendere risposte. Mentre qualcuno ipotizza un suo passaggio in politica, resta sul campo un mondo sindacale che ha predicato bene, ma razzolato male — anzi, peggio.

Mai come oggi sarebbe opportuno un ripensamento profondo del ruolo dei sindacati. Non basta più appellarsi alla storia o alle battaglie del passato. Servono riforme, autocritica, e soprattutto un ritorno all’ascolto dei lavoratori reali, quelli che ogni giorno fanno i conti con la fatica, con l’insicurezza, con l’inflazione e con la solitudine.

Oggi il sindacato ha perso. Ma a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono i lavoratori.

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