Viale Giotto: quella ferita nel cuore di Foggia

C’ero anche io, sin dalle prime ore, in quel “dannato” 11 novembre del 1999, nella piazza che affaccia sul “fatidico” Viale Giotto, per il quale Foggia ha occupato per giorni le prime pagine dei giornali e anche la aperture dei notiziari. Ero lì a vivere una delle più grandi tragedie della storia recente di Foggia, “in diretta”, è il caso di dire, perché per tre giorni raccontai quello che accadeva, minuto per minuto, dagli schermi di Teleblu. Arrivai alle prime luci dell’alba, in una zona che non saprei definire diversamente, se non con l’espressione “di guerra”. Gente che si affannava a scavare su una collina di detriti, tra nuvole di polvere e le luci spettrali di qualche lampione, gli appelli degli uomini delle forze dell’ordine e della protezione civile, per andare in questo o quel punto a dare una mano, o portare strumenti, o secchi per raccogliere il materiale di risulta… I primi ad arrivare, oltre ai passanti occasionali e agli abitanti dei palazzi vicini, erano stati proprio poliziotti, carabinieri, finanzieri che erano di pattuglia o anche che erano stati chiamati da amici e colleghi e così, spontaneamente, senza neanche essere attrezzati e abbigliati adeguatamente, cominciarono a scavare a mani nude. C’erano i Vigili del Fuoco, sempre in prima  linea quando c’è da compiere anche soccorsi rischiosi, ancora più motivati dalla presenza di colleghi sotto le macerie. Restai disorientato, di fronte a quello spettacolo… non riconoscevo neppure quel luogo, dov’ero stato spesso a trovare un ex compagno di classe del liceo, che abitava in un palazzo poco distante dal portone del civico 120. Quello stabile di sei piani che non c’era più, lasciava in vista i giardini e le case alle sue spalle, trasformando completamente l’aspetto della piazza. Il rumore dei mezzi di soccorso o degli attrezzi meccanici dei vigili del fuoco, era surreale, come il silenzio che cadeva immediato, quando i volontari chiedevano a tutti di tacere, per riuscire a distinguere una voce, un rumore da sotto quelle macerie… tutti restavano ammutoliti e atterriti, pieni di una speranza che solo poche volte si trasformò in grida di gioia ed entusiasmo, quando da quelle rovine emersero i nove superstiti. È una grande sfida per chi si occupa di informazione, cercare di porgere agli ascoltatori vicende di cronaca così sentite, così sconvolgenti per tante famiglie che vengono colpite da lutti per la scomparsa di parenti e amici, senza cadere nel cinismo, nella banalità, nella retorica. Ma è più grande l’impresa di superare l’emozione violenta che colpisce ad assistere a tanto dolore, tanta sofferenza concentrata in un piccolo spazio della tua città, vedere le lacrime sui volti di chi aveva raggiunto quel cumulo di macerie, sul quale si affannarono tanti straordinari volontari… lacrime di speranza, nell’attesa di un miracolo da parte dei soccorritori, o di disperazione quando, dalla polvere, dai mattoni, dalle travi, emergeva un corpo inanimato. L’esperienza fu profondamente traumatica per tutti quelli che vissero quei giorni senza muoversi da Viale Giotto, chi dietro alle transenne, chi prestando soccorso, chi garantendo l’ordine pubblico, chi raccontando quelle vicende, e fu davvero difficile riprendersi e tornare ad una vita normale, senza pensare in continuazione a quelle persone coperte di polvere e sudore, a quel pubblico sofferente, a quelle spoglie portate via coperte dai pietosi lenzuoli che precipitavano nell’angoscia parenti e amici che attendevano ansiosi, spesso invano, buone notizie. In quei giorni di dolore, come spesso avviene in queste tragedie, una piccola grande consolazione giunse dai tanti bei gesti di altruismo e solidarietà per i quali si distinsero in tanti, dai soccorritori ai “semplici” cittadini che facevano di tutto per dare una mano, quando e come potevano. Su tutti, prendo sempre ad esempio quel grande uomo che è stato Agostino Laquaglia, un mio amico che sempre celebrerò per lo straordinario comportamento tenuto in quell’occasione. Lui, dipendente dell’Amica, l’azienda cittadina di raccolta dei rifiuti urbani, fu ammirevole: senza fermarsi un minuto, senza chiedere una sostituzione, senza andare a casa a riposare o almeno a cambiarsi d’abito, lavorò, instancabile, alla guida della sua piccola pala meccanica, per intervenire lì dove gli scavi si potevano effettuare senza pericolo di ulteriori danni per il peso del mezzo. Senza sosta, dal venerdì –poche ore dopo il crollo- fino alla mattina del lunedì successivo. Un uomo di eccezionale generosità… e solo dopo sapemmo che aveva vissuto anche lui la stessa tragedia, il 20 febbraio del 1958, quando la casa in cui viveva con la famiglia, nel Palazzo Angeloni, già danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, rovinò al suolo seppellendo sua madre e i suoi tre fratelli: era una lotta contro il destino, la sua, per regalare la felicità di un parente sopravvissuto a chi attendeva ai bordi di quella piazza. Onore alla memoria di Agostino e di tutti quelli che lavorarono ben oltre quanto imposto dal dovere professionale o come volontari in quei giorni terribili. Onore a chi amministrava la città a quel tempo, segnatamente al Sindaco pro tempore Paolo Agostinacchio, che tanto si spese per sostenere i sopravvissuti e le famiglie delle vittime. Onore al Comitato dei familiari delle vittime, che non ha mai smesso di impegnarsi per conservare la memoria dei propri cari, sempre con iniziative opportune e misurate. Onore alla Fondazione Banca del Monte di Foggia, che nel 2012 finanziò la realizzazione del monumento alle vittime che sorge sul luogo del crollo, una bella opera in bronzo del compianto maestro Silvio Pellegrini. Onore alla memoria delle vittime, che sempre Foggia celebrerà, anche con l’intento di evitare che possa ripetersi un evento così funesto, causato dall’imprudenza dell’uomo, come determinò anche l’inchiesta sul caso. Onore a una città che sa rinnovare nel tempo il cordoglio per tanti suoi figli, tanto crudelmente strappati alla vita.

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